mercoledì 18 giugno 2014

L'inoperosa fabbrica nei pressi del Mausoleo della Bela Rosin

Nel quartiere popolare torinese di Mirafiori Sud si erge il celebre Mausoleo della Bela Rosin, copia esatta del Pantheon di Roma (tanto da aggiudicarsi la nomea di Pantheon di Mirafiori), tomba di famiglia costruita per volere dei figli di Rosa Vercellana (la moglie morganatica del re d'Italia Vittorio Emanuele II), meglio conosciuta in piemontese appunto come la Bela Rosin. Dietro questo Mausoleo, oggi tornato ai grandi fasti, dopo una grande opera di restauro terminata nel 2005, si son sempre celate leggende metropolitane miste a episodi  tragici e degradanti realmente accaduti: riti satanici officiati all'interno, salme trafugate, preda di cacciatori di tombe e vandali.....

L'infanzia di molti bambini è stata disturbata dalla visita a questo luogo che era capace di trasmettere brividi gelidi come le lame del coltello più affilato che potesse esistere. 


Oggi, invece, al suo interno vengono continuamente allestite mostre, come quella che abbiamo potuto ammirare di Vincenzo Fiorito.

Opera di Vincenzo Fiorito esposta alla mostra "Io sono la mia storia. Tra astrattismo e figurazione 1984/2014"

Ma per una struttura che potremmo definire ex-abbandonata e rivalutata ve né un'altra ancora in stato di abbandono e in questo caso più vero che mai il detto "bisogna sempre vedere anche l'altro risvolto della medaglia". In maniera quasi speculare ci siamo imbattuti, quasi per caso, in una delle tante fabbriche abbandonate disseminate qua e là sul territorio. 



Cosa resta di questa enorme struttura? Beh già dall'esterno è facilmente intuibile che oramai restano solo immensi capannoni simili a carcasse ferrose. I vetri delle finestre completamente distrutti (con tutta probabilità presi di mira da sassate scagliate da vandali). Ad ogni nostro passo, il grigio silenzio viene interrotto da rumori di vetri rotti calpestati. Il cielo sembra quasi essere una sorta di fondale scenografico di questo immenso palcoscenico di cemento.






Ed entrando timorosamente all'interno dell'imponente struttura, come se stessimo violando la più profonda intimità di questo luogo, ci rendiamo subito conto dello stato in cui versa: gli unici colori dinamici che i nostri occhi percepiscono sono quelli dei cartelli di pericolo, degli arbusti che si stanno riappropriando di ciò che spetta loro da sempre e degli innumerevoli murales opera di più o meno talentuosi writers (è evidente come per gli artisti di strada queste mura rappresentano delle vere e proprie tele!).




Passeggiare all'interno di questa fabbrica dismessa è sicuramente un'esperienza singolare: la nostra voce sembra un boato, ogni nostro gesto rimbomba ed il suono si propaga in maniera avvolgente in questi spazi vuoti. Sembra di trovarsi in un contesto estemporaneo, tonante, roboante e ampolloso.
Scrutando ogni minimo dettaglio ci siamo fatti prendere dal gioco delle domande aperte alle più disparate risposte: chissà quando gli operai hanno fatto il loro ultimo turno lavorativo? qual è l' odierna frequentazione notturna? chi utilizzava i vari oggetti disseminati qua e là? quante volte gli impiegati salivano e scendevano quelle scale molto simili a quelle delle stazioni della metropolitana berlinese? quali espedienti e aneddoti si raccontava il personale nei bagni? quante parole al giorno venivano scritte con quella tastiera poggiante quasi verticalmente al pavimento? chi avrà mai calzato quella scarpa antinfortunistica marrone scuro ora priva di lacci? di quanta energia necessitava quotidianamente una così mastodontica struttura?


 










Assolute protagoniste le sedie: sembrano quasi umanizzate come se riuscissero ancora a mostrarci le figure delle persone che quotidianamente e per anni si sono sedute su di loro. Sembrano essere lì ferme, immobili, in attesa di poter ancora adempiere al loro lavoro (e poi si sa che la sedia assume un'importanza fondamentale negli ambienti lavorativi).






Molto suggestivi i corridoi allagati che ci portano alla mente quelle scene dei film horror nipponici, dove l'acqua diventa quasi un'entità malefica e disturbante capace di catalizzare le nostre più recondite paure. Attraversarlo è stata un'esperienza quasi claustrofobica, come se quell'aria umido-ammuffita si posasse nei nostri polmoni nell'intento di affogarci.


La mensa allagata


La tentazione di portare a casa, come souvenir, questa pianta ormai rinsecchita è stata davvero forte. Forse in noi ha prevalso il voler resuscitare qualcosa che oramai è destinato ad un eterno riposo. E forse è proprio giusto che questo vaso resti lì dové, come una sorta di monumento alla memoria.

Che dire, nel nostro piccolo, abbiamo voluto celebrare questo mostro assopito, un tempo energicamente laborioso ora in un non ben determinato stato di letargia. E la domanda con cui vi lasciamo è: si risveglierà mai o sarà destinato ad un sonno eterno? 





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